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Finché amore non ci separi
Alice nel paese delle meraviglie (disponibile su matacenalibri), è una favola, un ripercorrere a ritroso gli anni passati, un incontro ravvicinato con le fantasie di un'infanzia troppo breve, che fugge, che da quotidianità spensierata diviene un nostalgico ricordo. Alice è ancora in grado di immaginare, di creare storie, di dipingere su tela i suoi personaggi, i suoi ambienti, le sue paure e le sue speranze; Alice è la capacità di guardarsi dentro, di vedere ancora il mondo con occhi ingenui e innocenti; è la possibilità di evadere dalla realtà troppo stretta e troppo definita per fuggire in mondo caotico, senza regole, dove l'assurdo diventa razionale e dove le regole lasciano spazio alla libertà di essere, di agire, di sognare. Contrariamente, la sorella rimane ferma sul limitare del bosco, incapace di attraversarlo, impossibile per lei entrare in quel mondo che la sorella sogna e immagina facilmente: crescendo, l'adulto perde contatto con l'eterno bambino che è stato, ritrovandosi in grado di vedere solo quello che gli occhi gli mostrano, non può più andare oltre.
Un nostalgico addio all'infanzia e una dolce esaltazione del potere immaginativo. Un altro aspetto interessante è che il fatidico "Paese delle Meraviglie" non è così fantastico come sembra: i personaggi, per lo più animali parlanti e carte da poker, si caricano di comportamenti umani sregolati e poco virtuosi (basti pensare al Bianconiglio ossessionato dal tempo che scorre velocemente, al Cappellaio Matto e alla Lepre Marzolina che non fanno altro che vivere una realtà statica compiendo sempre lo stesso rituale intorno al tavolo da tè, alla Regina di Cuori che appare un essere spietato e insicuro, capace solo con la sua tirannia di decretare, e con facilità, la morte di tutti coloro che la intralciano anche per motivi abbastanza futili) creando in Alice non tanto un senso di spensieratezza quanto di sconcerto e solitudine. Che sia una critica ai canoni dell'età vittoriana è molto probabile.