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Fra gli scaffali di una libreria, non può mancare il testo “Myricae” di Giovanni Pascoli, la sua prima raccolta di poesie dall'animo bucolico. Già dal titolo, infatti, risulta evidente che il mondo della natura e della campagna gioca un ruolo rilevante, intesa come ritorno alla semplicità, all'umiltà, all'essenza, in contrapposizione al progredire disordinato e sporco della società.
In questa raccolta il poeta è capace di connettersi con il lettore poichè è capace di descrivere l'ambiente bucolico con vividezza di particolari. In altre parole, Pascoli è in grado di imprimere con l'inchiostro sulla carta le sensazioni e le intuizioni provate, i moti d'animo e i desideri di chi si trova a contatto con la natura.
Caratteristiche della sua prosa, infatti, sono le sfumature simboliste e le figure retoriche ricorrenti che privilegiano i sentimenti, le percezioni indistinte che riproducono le sensazioni sfumate dell'uomo che si trova di fronte all'immensità e al mistero di madre natura. Secondo la retorica pascoliana, infatti, è compito del poeta quello di cogliere il mistero che si cela dietro gli eventi naturali e spiegarlo, attraverso l'arte letteraria, agli altri uomini.
Con Myricae, Pascoli incarna il senso di apprensione dell'uomo nei confronti dell'ignoto e il senso di emarginazione sociale del contadino spaventato dal convulso e disordinato progredire della società.
Molti temi si intrecciano in questo afflato emotivo: la vita, la morte, la perdita dei propri cari, la memoria, il senso della storia, l'indefinitezza dell'essere umano. Ma la natura svolge anche un ruolo terapeutico: serve a ristabilire attorno al poeta un mondo fatto di simboli a lui familiari, conosciuti.